lunedì 21 novembre 2011

Report 11/11/11 Angelo Tilo

Un clima stravagante ed un vento matto mi accoglie in una mattinata di sole talmente luminoso e intenso da farmi stringere gli occhi per mettere a fuoco l’ ambiente che mi circonda.
Non vedo torri o piazze della mia solita Bologna, ma mare e tante tante case una sopra l’ altra, senza lasciar respiro alle strade. Tantissime strade una sopra l’ altra come se una fosse da pilastro all’ altra, come se l’ una fosse di vitale importanza per l’ altra. Gru rosse e bianche che spuntano in questa unica macchia di costruzioni colorate e alla fine della macchia…. Il mare?!?
Ma dove sono e come ho fatto ad arrivare fin qui?
Genova?!?
E’ stato il vento forse a portarmi qui? E perché?
Forse non tutto accade per niente, forse c’ è un motivo speciale della mia presenza qui!!
Forse.. forse.. forse.
E’ inutile farsi domande, ormai ci sono! Buttiamoci!
I terrestri di qui sono diversi da quelli di Bologna, non di aspetto, si intende!!
Con il mio solito costume da “ copertura terrestre” mi perdo nelle vie che erano invisibili dall’ alto e con il naso all’ insù e lo sguardo molto interrogativo vengo individuata da tante persone del posto che, preoccupati per me, mi chiedono cosa sto cercando e mi svelano i segreti di una città che ancora non conosco ma che conoscerò presto e che, alla mia futura partenza, ne sentirò subito la nostalgia.
Ed è in un luogo dal pavimento rosso e con il tetto talmente vicini al cielo azzurro da toccarlo con un dito che incontro… Luciano, un Angelo del fango, che mi racconta una storia molto triste sulla città.
Da poco l’ argine del fiume si è rotto per le forti piogge provocate dall’ Omino della Pioggia, che questa volta si è addormentato per molto, molto tempo, dimenticandosi di chiudere i rubinetti del cielo, provocando disastri quasi irreparabili e aprendo a sua volta altri rubinetti… Rubinetti delle lacrime delle persone che si sono viste portare via macchine, case ed i loro cari.
Questo dolce Angelo del Fango è venuto da Imperia per aiutare quella gente a riparare, o per lo meno, a provare a riparare, i danni. Un Ligure brillante, simpatico ed intraprendente che ci impegna le poche giornate passate a Genova con il suo colorito senso dell’ umorismo e con il suo luminoso sorriso che ti promette sincerità e fiducia.
Ma prima il dovere e poi il piacere!
E’ sera.. e mi ritrovo in una strada che non conosco e che chiamerò la Galleria del Vento.
Ma per quanto vento ci possa essere, sono talmente fortunata che in 10 minuti terrestri mi ritrovo in Senegal, al caldo, in un villaggio vicino al deserto ma baciato dal mare. Su una piccola barca di legno un uomo anziano ed un bambino stanno pescando e nel volto del piccolo leggo l’ impazienza dell’ arrivo della sera, per poter gustare quel pesce appena pescato intorno ad un fuoco insieme a tutta la sua famiglia.
L’ autobus n° 9, mi viene a prendere il terrestre, riportandoci in modo un po’ brusco alla fermata della galleria del vento… Addio calduccio!!
Ma subito dopo incontro un ragazzo del Marocco che in modo spettacolare si mette a parlare con me in una cadenza genovese perfetta. Questo mi fa sorridere perché mi rendo conto che veramente tutto il mondo è paese.
Fino a qui tutto bene… fino a qui tutto bene… fino a qui tutto bene!
Visto che gli autobus continuano a portarmi via i terrestri, provo a farmi portare via anche Io!
Ma qua gli autobus sono diversi da quelli di Bologna, sono tutti colorati, nuovi e confortevoli con super- cuscini e tanta gente!
Un ragazzo inizia a fare indovinelli divertenti che oramai impegnano buona parte dei terrestri sull’ autobus. E’ qui che incontro Sumo, lui ci vive sugli autobus, và avanti e indietro tutta la notte, e non è un’ autista!
Ma ora l’ odore ed il sapore del mare è forte e mi avvolge come un lenzuolo invisibile riempiendomi di eccitazione e curiosità.
Siamo al porto!
Navi, battelli, tappeti di legno e… tanti fratelli e sorelle Angeli! Che belli! Ecco chi è stato a chiamarmi.
Davanti al porto si divertono a giocare con birilli, palline e diablo, facendoli provare ai passanti e …anche a me!
Un altro Angelo speciale invece guarda le stelle “ le nostre strade maestre”. Lui vuole molto bene alle stelle e sicuramente questo amore sarà reciproco. Probabilmente anche loro lo osservano dall’ alto con grande ammirazione.
E così, da persona a persona, da umano a umano, la serata si affievolisce e alla fermata in riva al porto restano racconti e risate che riempiono l’ aria come una nebbia fine e leggera che galleggia per poi disperdersi nei cuori di questi cari amici umani.
Ma non nei vicoli.
Negli stretti passaggi di una città che narra senza bocca e accarezza senza mani piccoli locali si animano di persone di tutto il mondo per incontrarsi e scambiarsi bicchieri di joie divertendosi con spensieratezza, per conoscersi e .. non lo so!!
Il mio tempo è scaduto e la mia nuvola mi chiama.
Il costume da Angelo incognito sparisce e mi spuntano le ali per riportarmi a casa.
Ora quello stesso vento che mi ha portato fin qui con forza mi porta via, con la nostalgia sospetta di quando sono arrivata saluto dall’ alto questa splendida macchia di costruzioni colorate, le sue gru, il suo mare e le sue splendide persone.


Piccola dolce e caotica Genova
che con i tuoi segreti
nascondi persone così care e speciali
agli occhi del cielo.
Perché la tua gelosia e possessione
nei confronti dei tuoi terrestri è così lecita?
E noi Angeli
che riusciamo a svelarti lasciandoti nuda
agli occhi di chi ti vuol sentire,
noi Angeli che mescoliamo le nostre piume
di mille sapori diversi
ma che insieme sprigioniamo un gusto unico
come l’ AMORE!


Angelo Tilo

Report Angelo Giacomo

Sabato sera io e AngeloAli siamo stati accompagnati dal millenario Angelo Floppy nel primo nostro volo di prova. I più esperti ci avevano già raccontato di una strepitosa umanità che le persone usano tenere nascosta ma che spesso non riescono a occultare alla vista di un angelo. Noi, che fino a quel momento non avevamo mai mostrato le nostre ali, accontentandoci di confonderci con le altre persone, faticavamo a crederci. Avevamo già utilizzato gli autobus in giornate troppo ventose per svolazzare tranquillamente da una parte all’altra della città ma mai ci eravamo accorti di questa umanità spesso nascosta dietro la copertina di un libro, intrappolata da un paio di cuffie o semplicemente oppressa da tante espressioni prive di sorriso, incapaci di accoglierla.
Quella sera tutto è andato diversamente, mostrare le nostre ali è stato sufficiente ad attirare l’attenzione di tutte quelle persone con una voglia di comunicare sfrenata, alla ricerca di qualcuno disposto ad ascoltarli in una gelida serata autunnale. Come qualcun altro ha avuto modo di osservare in precedenza, noi angeli non siamo che un catalizzatore di umanità. Le nostre ali funzionano un po’ come una calamita, in grado di attirare a sé tante storie, poesie, desideri e, inutile nasconderlo, anche tanti lamenti che, gli uomini, per qualche motivo a noi ancora ignoto, preferiscono solitamente tenere per sé. L’incredibile forza di attrazione delle nostre ali ci ha così permesso di incontrare i personaggi più disparati che ci hanno tenuto compagnia e ci hanno avvolto con quella umanità di cui eravamo disperatamente alla ricerca.
Una numerosa famiglia ecuadoriana ha avviato la serata riscaldandoci un po’ con il calore e la poesia della propria terra. Poco dopo un gruppo di amici provenienti da quei paesi compressi tra il deserto ed il mediterraneo ma ora perlomeno non più oppressi da dittatori senza scrupoli, ci ha esplicato una filosofia di vita molto affascinante che consiste essenzialmente nel non lamentarsi mai, poiché dire che le cose non vanno come dovrebbero, a quanto pare, non aiuta a risolverle. Uno di loro in particolare, scappato dalla guerra che sta distruggendo il suo paese, ci ha raccontato che anche qui in Italia sta affrontando diverse difficoltà e che è molto preoccupato per i suoi parenti ed amici ma, nonostante tutto questo, ci ha regalato più sorrisi di quelli che solitamente ci vengono rivolti in una settimana intera. Abbiamo poi scherzato un po’ con uno dei suoi amici che sosteneva di essere il cugino di un certo Gheddafi e che mostrandoci il trolley che portava con sé ci ha raccontato di essere riuscito a scappare appena in tempo dal suo paese, anche se, a giudicare dalle risatine dei suoi compagni di ventura, probabilmente la storia non è andata proprio così.
Nel frattempo autobus carichi si svuotavano di ragazzi che si preparavano ad una serata in centro e autobus vuoti si riempivano di donne e uomini esausti dopo una lunga giornata di lavoro, qualcuno troppo stanco per parlare e qualcun altro troppo stanco per stare zitto. Proprio come quel uomo che ci si è avvicinato come se gli avessimo dato un appuntamento e pochi minuti dopo ci stava raccontando di come quel suo lavoro gli sta stretto e di come allo stesso tempo è costretto ad accettarlo in silenzio perché un giovane umano ha bisogno di quello che lui guadagna, mentre sua moglie non riesce a trovare lavoro per via di un accento un po’ troppo esotico. Ci ha poi raccontato quanto lo faccia arrabbiare dover passare ogni sera, mentre torna a casa dal lavoro, davanti a decine di ragazze costrette a fare della strada la loro vita o a tante altre persone rannicchiate in un angolo di marciapiede cercando di sconfiggere il freddo. Non riusciva a capacitarsi di come si potesse permettere che delle persone vivessero in tali condizioni, cercava spiegazioni e noi angeli naturalmente non gliele abbiamo sapute dare, poiché questo è proprio uno di quegli aspetti della società degli umani che meno riusciamo a comprendere. Altri discorsi sono seguiti ed alla fine ci ha salutati poiché sperava di poter trovare ancora la moglie sveglia, per bere una cioccolata calda prima di dare il bacio della buona notte a quel bimbo per cui gli tocca lavorare tutto il giorno ma che raramente riesce a vedere quando è sveglio. Quel bimbo per cui sta mettendo da parte dei soldi, sperando che una volta cresciuto, avrà voglia di seguirlo in un paese dove le belle ragazze non hanno bisogno di lavorare sulla strada per sopravvivere. Noi gli auguriamo che un posto così esista ancora tra qualche anno o, ancora meglio, che quel giorno anche qui suo figlio possa avere un futuro migliore di quello che adesso lui teme. Poco dopo un altro uomo, affascinato dalle nostre ali, ci ha approcciato parlando di amore che sconfigge la paura e di cellule risvegliate in grado di far rivivere un organismo malato. Ci ha raccontato di un libro che parla di umani in grado di volare, proprio come degli angeli o delle aquile, se solo riescono a capire di non essere delle galline. Ci ha salutato con un abbraccio, stile giocatori di rugby e si è allontanato nella notte. Non sembrava interessato agli autobus, probabilmente era anche lui alla ricerca di calore umano in quella fredda notte.
La nostra serata è si è poi conclusa con le poesie di una vecchia signora, le canzoni napoletane di un emigrante nostalgico e le massime di un mendicante che, da quando gli spazzini vengono chiamati operatori ecologici, preferisce farsi chiamare artista di strada.
Quello che ci avevano detto era vero, dietro tutte quelle facce stanche ed annoiate c’è un fiume di racconti, di esperienze e di poesie pronti a riscaldare anche la più gelida serata invernale se solo attratte da un paio di ali, o da un sorriso.

Dalla Mia Finestra by Angel Step

Quando ero piccolo guardavo dalla finestra della mia stanza e vedevo le montagne di fronte, una vallata nel mezzo tutta verde con poche e sconosciute case, e un orizzonte che lasciava intuire un mondo immenso e da scoprire.
Poi sono partito. E ho incontrato tanti altri orizzonti. Ma ogni volta c'era sempre qualcosa più in là, qualcosa che lasciava intuire un mondo immenso e da scoprire.
Sono partito. E ho conosciuto tante altre persone, ho potuto guardare dalle loro finestre. Ci ho visto tante cose, e ogni volta era immenso lo stupore nello scoprire nuovi orizzonti.
Allora ho indossato un paio d'ali e ho così avuto accesso alle finestre di persone che non avevo mai incontrato prima. E sono rimasto a bocca aperta.
Cos'è una finestra? Un buco in un muro certo, ma anche un occasione nuova, una corsia preferenziale verso l'esterno. É preferenziale perchè la si può valicare solo con gli occhi, a volte con il cuore. “Da casa mia si vede un abbaino, e il tetto della casa” (Biagio, Genova), “io vedo la lanterna”, “vedo un po' di montagne”, “un albero di nespolo, con il rumore del tagliaerba” (Michele, Romagnano di Grezzano), “la mattina spesso c'è un forte cinguettio”, “alcune domenica mattina c'era la tromba registrata della caserma lì vicino” (Fabio, Verona), “sentivo in lontanaza il rumore di una macchina ogni tanto che passava” (Genova), “a Nervi sentivo l'odore del pitosforo”, “odore di caramelle” (Mosca).
Scopro che oltre agli occhi anche l'udito e l'odorato hanno questo potere, possono valicare le frontiere del ricordo. Mi chiedo: ma dove è rimasto il cuore? Il mio ha lasciato tracce indelebili sugli stipiti della mia finestra (sangue?), anche ora che hanno costruito altre case di fornte alla mia, intaccando indelebilmente la coerenza tra i miei ricordi e la realtà corrente.
Il cuore l'ho incontrato nelle parole di tante persone per le quali la finestra è occasione di libertà e ampio respiro. “Vedo il sole” (Flor Ramira, Repubblica Dominicana), “dalla mia stanza vedo la campagna e odore di erba” (Enrique, Ecuador), “dalla mia camera vedo mare e montagne”, “vedo il treno che passa”, “vedevo la campagna dalla cucina e potevo spaziare mentre lavoravo” (Rapallo), “io sento il vento che soffia” (Genova).
Ma per qualcuno la finestra è stata o è un'apertura verso un problema, un fastidio, un grattacapo: “io vedo gli aerei e li sento” (Linate), “dalla finestra di camera mia sento le macchine che non mi lasciano dormire” (Adinna, Genova), “vedo il traffico, poco perchè a S.Quirico non c'è nessuno”, “dalla stanza vedo l'Italsider” (Cornigliano), “dalla finestra sento l'umidità” (Genova). C'è anche chi ha peggiorato la propria situazione con gli anni, “profumo di erba tagliata, adesso odore di tubi di scarico”, “a casa mia vedo un palazzo mentre da bambina c'era il gatto che mi aspettava” (Genova). Si stava meglio quando si stava peggio. Qualcosa è cambiato, ma solo negli occhi o anche nel cuore?
Qualcuno riesce a viversi positivamente situazioni di possibile disagio, forse perchè da bambin@ è riuscit@ a lasciar correre il cuore dietro alla magia di quei mondi sconosciuti. “Vedo una ferrovia dismessa”, “dalla mia finestra sentivo il rumore dello straccivendolo, che scaricava e l'arrotino che affilava” (Genova), “quando ero piccolo c'era un'industria tessile che faceva un rumore forte e chi veniva a trovarci ci diceva -come fate a stare con sto rumore-...noi neanche ci rendevamo conto”, “quando ero piccolo c'era un fiume dove giocavo coi miei amici e un giorno alla settimana si tingeva di colore perchè c'era una fabbrica di vernici che lavava le cisterne. Per noi era una magia, tutti i venerdì, aspettare senza sapere di che colore sarebbe stato” (Mignanego). Ricordate? Si nascondevano anche dietro le mie montagne, oltre alla vallata verde, oltre alle case che ora tormentano la vista, con la sua voglia di lanciarsi a capofitto come soffio di vento di montagna.
“Dalla mia finestra sento il silenzio e ricordo le sbarre alle finestre, la gente mi diceva -fai il bravo sennò vengono e ti portano via-”. Infatti “ora vivo su una panchina e non ho più finestre” (Kamel, Tunisia). Quegli occhi, quelle orecchie, quel cuore forse aveva bisogno di spaziare. Quattro mura e un buco erano troppo poco per lasciar uscire l'urlo, la voglia di libertà, il bisogno di sentire l'aria sulla pelle. Ecco allora il nostro amico a dormire su quella panchina. Voi cosa vi eravate immaginati? Che fosse un barbone? Uno che ha fallito? Uno che ha perso tutto? Chissà, invece forse ha raggiunto il suo primo traguardo. Ora? Deve guardare avanti per vedere il suo prossimo obiettivo, che forse non ha mai neanche visto dalla sua finestra, ma forse lo vedeva quando aveva gli occhi chiusi. Boh, non ci è dato saperlo, siamo angeli mica indovini.
“Profumo di alberi, fiori” (Nigeria), “dalla mia finestra di Avignone vedo un alberello che mi fa sentire a casa” (Christoff), “mi immagino a letto ad ascoltare Pink Floyd”, “sento i ragazzi che giocavano in cortile e io scendevo con loro” (Napoli), “io mi svegliavo alle 5 a studiare, c'ero io con Bob Marley che anziché studiare scrivevo al ragazzo che mi piaceva” (Genova). Le nostre finestre ci hanno visto crescere, sanno tante cose di noi, sanno come renderci felici, a volte semplicemente facendoci vedere il lato bello della vita: “sentivo le urla delle madri che chiamavano i loro figli come un concerto” (Luca, Sicilia), “osservazione di chi passa, guardavo in particolare quelli che erano allegri”, “dalla mia stanza vedo un albero di fichi”, “io vedo un grande albero di castagne”.
C'è qualcuno che è arrivato a quell'immagine, quell'odore, quel suono, tanti anni dopo, perchè dentro lo stava inseguendo, anche se non lo sapeva. E c'è chi ci sta lavorando. Un lungo filo che ci riporta inevitabilmente a quel punto, a quell'ombelico. Corri corri, non sai dove vai, poi all'improvviso senti che c'è qualcosa messo nel posto giusto. Fermati, osservalo, tienilo con te. Ti riporterà a casa quando ti perderai.
“Immagino io bambino che gioco e piango”. Crescere ha il suo costo.
Beato chi dentro la finestra del suo cuore ha ritovato la via, o se stesso. “Dalla finestra vedo la luce” (Algeria). “Io vedo una scritta io sono Dizzy, che poi è il mio nome”. Beato lui, si è autografato il panorama, si è personalizzato la visuale, saprà sempre dove guardare quando si sentirà solo, perso, triste.
Dalla mia finestra cerco me stesso e dalle vostre ho contemplato il mondo, ho gustato i vostri ricordi e ho accarezzato i vostri sogni. É stato un bel viaggio, qual'è il prossimo?